Spettacoli burlesque reali o digitali? O entrambi?

Spettacoli burlesque reali o digitali? O entrambi?

Spettacoli burlesque reali o digitali? Nella prima puntata del nostro podcast Burlesque Stories proponiamo una riflessione sull’argomento.

Ascolta questa puntata di Burlesque Stories su Spotify o sul tuo servizio podcast preferito:

Di seguito, la trascrizione dell’episodio.


La prima metà del 2020 ci ha tolto molto, ma ci ha lasciato anche lo stimolo necessario per riflettere su diversi aspetti della nostra vita. Ora potremmo metterci a pontificare, ma questo è un podcast che parla di burlesque, quindi non è il caso di avventurarci in territori che non ci competono. Anche perché l’argomento che stiamo per trattare è già parecchio spinoso: spettacoli burlesque on line. Sì? No? Lasciamo perdere?
No, non lasciamo perdere. Perché se siamo burlesque performer, spettatrici, spettatori, amanti o congiunti del genere, il tema ci riguarda. Tutti. Quindi parliamone insieme.

Gli effetti del lockdown e del distanziamento sociale sul burlesque

Burlesque.it esiste dal 2006 e in tutti questi anni abbiamo trattato il tema di quest’affascinante arte performativa sotto diversi punti di vista: storici, culturali, sociali, ecc.

Negli scorsi mesi, sul sito abbiamo affrontato la questione degli effetti del lockdown da Coronavirus chiedendo a tre artiste differenti una riflessione su altrettanti aspetti della situazione.
La prima è stata Albadoro Gala, una delle burlesque performer italiane più conosciute nel mondo, che ad aprile ha ipotizzato il futuro degli spettacoli di burlesque nel nostro Paese dopo l’emergenza sanitaria.
Poi abbiamo intervistato la diva americana Michelle L’amour, Miss Exotic World 2005, che ci ha spiegato come gli artisti stanno affrontando il problema negli Stati Uniti, ma con uno sguardo verso il mondo dello spettacolo post-Coronavirus.
Infine la parola è passata a Vera Dragone, poliedrica cantante e showgirl, nonché cofondatrice con Alessandro Casella dell’Ellington Club di Roma. Lei ci ha fornito il punto di vista di chi gestisce un locale specializzato nell’intrattenimento dal vivo e nel burlesque, e si trova a fronteggiare le conseguenze di un lockdown.

Non c’è dubbio che ci troviamo al cospetto di una trasformazione. Non radicale, ma indubbiamente qualcosa di diverso c’è e ci sarà.
Quindi è giunto il momento di ragionare su quello che può essere il burlesque nei prossimi anni, pensando anche all’esperienza appena vissuta.

Burlesque da remoto nella “Fase 1” dell’emergenza Coronavirus

Mentre stiamo registrando questo podcast, cominciano ad esserci i primi spettacoli dal vivo del dopo lockdown. Sono pochi e fanno fatica, ma ci sono.

Nei tre mesi di sospensione delle attività sul palco, diversi artisti hanno sopperito alla mancanza di spettacoli live nei teatri e nei locali, con dirette video su Facebook e altre piattaforme come Zoom. In alcuni casi gratuitamente, in altri a pagamento, e in altri ancora con la richiesta di un piccolo omaggio a discrezione di chi guarda, la cosiddetta tip.

Gli operatori del settore hanno discusso parecchio su queste tre opzioni. Ma teniamo conto che quello del lockdown è stato un momento particolare, anche emotivamente, quindi la scelta di regalare un po’ d’evasione per allontanare momentaneamente i pensieri cupi poteva essere un’idea valida. Certo è che per i professionisti lavorare pro bono deve essere una scelta eccezionale, non certo la regola. Quindi, in questa sede, considereremo solo gli spettacoli on line a pagamento.

Dopo quest’esperienza, è giunto il momento di chiederci se e come questa modalità esibizione potrà avere un futuro.

Uno show insostituibile (e uno affiancabile)

Indubbiamente lo spettacolo dal vivo in cui gli artisti e gli spettatori sono compresenti in uno stesso spazio è insostituibile. Ma non è detto che uno show da remoto debba necessariamente essere pensato per sostituire quello tradizionale. I motivi per cui uno spettatore può dover scegliere se non addirittura preferire uno spettacolo da remoto possono essere davvero molti.
Questo significa che affiancare proposte di show dal vivo a quelle di show da remoto potrebbe essere una modalità per il futuro.

Durante il lockdown, i mezzi usati sono stati spesso di fortuna, perché era difficile, se non impossibile, organizzarsi con attrezzature adeguate. Ora che abbiamo riconquistato quasi completamente la libertà, possiamo riflettere su un miglioramento tecnico. Tenendo però in considerazione una cosa fondamentale: avere tutto ciò che serve per fare registrazioni o dirette professionali, rischia di non bastare per trasferire sugli schermi di guarda anche solo un pizzico dell’emozione di chi guarda uno show da sotto il palco.

Ipotizzare il futuro guardando al passato

Prendiamo a esempio ciò che è accaduto in passato in altri ambiti.

Anni ’50: il teatro va in tv

Consideriamo un passaggio epocale dello spettacolo del Novecento: quello della prosa teatrale che dalle assi del palco vero e proprio si trovava improvvisamente in TV.

Già negli anni ’50, i primi della televisione italiana, si lavorava in due direzioni diverse per proporre il teatro sul piccolo schermo.(1)M. Lombezzi, Un binocolo per il loggione. Aspetti del teatro in TV negli anni Cinquanta, in G. Bettetini (a cura di), American Way of television. Le origini della TV in Italia, Sansoni, Firenze, 1980
Da una parte c’era la ripresa diretta, che conservava i tempi del teatro e forse trasmetteva una certa sacralità del rito del palcoscenico.
Dall’altra c’era l’adattamento della pièce alle logiche comunicative della TV. Si parlava di traduzione perché, effettivamente, si passava da un linguaggio a un altro.
Quindi: o la quasi totale fissità delle telecamere rivolte a un’azione sul palco, o le telecamere in movimento, l’alternanza delle inquadrature ereditate dal cinema, che permettono di mettere in rilievo i dettagli, le espressioni degli attori, ecc.
I limiti della ripresa diretta furono subito chiari e questa modalità venne abbandonata rapidamente in favore della traduzione, ben più dinamica, che venne anche chiamata teatroTV.(2)A. Grasso, Radio e televisione: teorie, analisi, storie, esercizi, Vita e Pensiero, Milano, 2000

Certo, qui si trattava di prosa teatrale. E di un originale pensato per il teatro, ripensato per la tv. Ma se dovessimo partire da uno spettacolo leggero, un varietà, senz’altro più vicino alle caratteristiche del burlesque? Bene, facciamo un esempio in cui c’è un numero originale, pensato per un varietà televisivo, ma difficilmente adattabile in teatro.

Anni ’60: la tv reinventa il varietà

Personalmente ho iniziato a interessarmi di burlesque, per poi farlo diventare il mio lavoro, grazie al mio amore per il teatro leggero: quello che parte dai caffè chantant d’inizio Novecento e passa sui palchi dei teatri di varietà, fino a generare, negli anni ’60, il varietà televisivo.

In Italia, il personaggio che ha saputo rendere grande questo genere anche sul piccolo schermo è stato Antonello Falqui, un regista eccezionale, raffinatissimo e innovativo. È a lui che dobbiamo i primi, fastosi show del sabato sera della Rai, come Studio Uno, Milleluci e altri. Spesso aveva budget faraonici a disposizione, tanto da poter andare in cerca d’ispirazione negli Stati Uniti, assistendo agli show di Broadway a New York e di Las Vegas, per poi adattarne le intuizioni alla tv nostrana, magari portandosi dietro qualcuno degli artisti visti sui palchi d’oltreoceano.

Un esempio

Chi mi conosce sa che ne parlo sempre, forse troppo, ma c’è un particolare esempio delle sue creazioni che ritengo utile per riflettere sul nostro tema.

Si tratta di un numero tratto proprio da Studio Uno, in cui c’è Lelio Luttazzi, straordinario entertainer a tutto tondo che nella trasmissione aveva principalmente il ruolo di conduttore, ma anche di musicista, cantante e spalla degli ospiti dello show.
Con Luttazzi, in questo particolare numero ci sono Alice ed Ellen Kessler, che cantano e ballano con lui il brano Uno come me, che ha scritto apposta per l’esibizione. Lo sketch è leggero e autoironico, piacevolissimo.

Prestando attenzione ai particolari, ci rendiamo conto che ciò che rende unico questo numero è la presenza di uno specchio. Serve a giocare con le Kessler, due gemelle che possono diventare quattro gemelle e, con il riflesso, danno l’impressione di volare. Ma, soprattutto, in alcuni momenti, la telecamera ci porta a guardare così gradualmente e dolcemente all’interno dello specchio, facendo scomparire i bordi fuori campo, che non ci rendiamo conto che ciò che stiamo vedendo non è l’immagine originale ma quella riflessa. E se prima vedevamo gli artisti di fronte, ora li vediamo di schiena. Spiegarlo a parole non rende l’idea, quindi guardate il video su Facebook.

Comunque è proprio questa la straordinarietà: si tratta di un numero che potrebbe essere riproponibile solo parzialmente in teatro, perché la modalità con cui si potrebbe usare lo specchio sarebbe ben più limitata. Avete presente quando si dice che il teatro è sempre meglio della televisione? Ecco, questo è uno dei casi in cui non è così: con lo studio del medium, la creatività e i mezzi giusti, si può arrivare a un primato della televisione sul teatro.

Ripensare il linguaggio

Gli esempi che ho fatto sono un po’ estremi: ho considerato il teatro e la tv perché il loro rapporto è un precedente storico di ripensamento di un tipo di rappresentazione, di adattamento da un medium all’altro.

Sia chiaro: l’uomo è un animale sociale e non c’è nulla che possa eguagliare ciò che si prova durante l’esperienza dal vivo, anche solo per il tipo di coinvolgimento. Ma, ribadisco, viviamo in un’epoca storica strana, imprevedibile, in cui alcune opzioni che fino a gennaio 2020 non avremmo nemmeno preso in considerazione, per un certo periodo sono diventate le uniche possibili. E ora potremmo pensare di affiancarle a ciò che abbiamo sempre fatto. A patto di ricordare sempre che se questi nuovi spettacoli da remoto vorranno essere davvero considerati delle valide alternative, godibili e quindi vendibili, dovranno essere elaborati con linguaggi diversi.

Note

Note
1 M. Lombezzi, Un binocolo per il loggione. Aspetti del teatro in TV negli anni Cinquanta, in G. Bettetini (a cura di), American Way of television. Le origini della TV in Italia, Sansoni, Firenze, 1980
2 A. Grasso, Radio e televisione: teorie, analisi, storie, esercizi, Vita e Pensiero, Milano, 2000

A. R.